Il vangelo secondo Gesù Cristo, Feltrinelli. Recensione.



“Non intendo invocare la grazia o il perdono di chi credo non fu altri che un uomo, come Dio passato alla storia” cantava Faber. 

I versi di Fabrizio De Andrè mi sono tornati in mente più volte, mentre leggevo questo libro di Saramago. 


I rifacimenti, le riletture e le reinterpretazioni della vita di Cristo e, più in generale, della storia biblica sono frequenti nell’arte, nella storia, nella stessa religione. È inevitabile, vista l’importanza e la complessità del personaggio e di ciò che ha predicato, oltre che la pluralità di fonti (apocrife e non) esistenti sullo stesso. A ciò si aggiunga la visione personale di tutti coloro i quali si sono cimentati in una tale impresa. 


Anche l’ateo José Saramago - premio Nobel per la letteratura - ha indossato le vesti dell’evangelista e ci ha donato questo racconto, questa lettura personale della vita di Gesù, in cui ha chiaramente voluto esprimere la sua idea di Bene e Male - più precisamente del rapporto tra le due “entità” - su Dio, sulla storia del Cristianesimo e sul significato metaforico delle vicende del Nazareno. 


La forma è quella tipica dello scrittore portoghese: una particolare maniera di narrare - definita  “stile orale” - caratterizzata dall’assenza di cesure tra discorso indiretto e diretto e dal mancato inserimento di segni di interpunzione chiari o, perlomeno, canonici. La prosa corre senza stacco e ciò consente anche una certa fluidità, cosicché si mescolano continuamente pensieri e parole dei personaggi e dell’Autore onnisciente che ne narra le vicende. 


La storia è quella di Gesù di Nazaret, ma profondamente umana.  Non mancano, però,  riferimenti al “numinoso: ci sono i miracoli, anche se un po’ “sminuiti”, quasi ridotti a riti magici. In particolare, la resurrezione di Lazzaro non avviene perché “nessuno ha compiuto tanti peccati in vita da meritare di morire due volte”. 


Il concepimento di Gesù è umano, sebbene in qualche modo vi intervenga la divinità. Gesù ha nove tra fratelli e sorelle. Il padre, Giuseppe, muore crocifisso a 33 anni. Quasi un segnale premonitore. Mi soffermo un attimo sulla figura del falegname e in particolare di una delle vicende di cui è protagonista (anche nella storia “ufficiale”, anche se qui con qualche “aggiustamento”): la consapevolezza anticipata del progetto sanguinario e infanticida di Erode il Grande gli consente di salvare il figlio, ma non lo induce ad avvisare anche le altre famiglie di Betlemme che  sopporteranno le morti dei propri bambini. È un fatto che determinerà in Giuseppe un senso di colpa lacerante, concretizzato in un incubo che ricorre ogni notte, fino alla morte e che sarà ereditato dal figlio Gesù fino alla croce  (anche De André cantava “Ben più della morte che oggi ti vuole,  t'uccide il veleno di queste parole: le voci dei padri di quei neonati, da Erode per te trucidati”). 


Il rapporto di Gesù con la madre non è quello cui ci hanno abituato I catechismi: è conflittuale, fatto di scontri, caratterizzato dal fatto che Maria non crede all’origine divina del figlio e lo allontana, come un qualunque adolescente che si appresta a divenire uomo. 


Gesù e Maria di Magdala sono amanti e  “sposati”. La Maddalena è la donna più importante della 

vita di Cristo. In tutto il libro viene messa più volte in rilievo la condizione femminile nella cultura ebraica dei tempi di Gesù, attraverso la descrizione della sottomissione di Maria a Giuseppe, del silenzio che la stessa deve serbare perché sia il marito a esprimere la saggezza che solo agli uomini è concessa. Il rapporto tra Maria e la Maddalena, invece, è assolutamente paritario e credo rispecchi la rivoluzionaria considerazione che il Nazareno riaverò a tutte le donne (cito ancora Faber “fedeli umiliatE da un credo inumano che le volle schiave già prima di Abramo, con riconoscenza ora soffron la pena di chi perdonò a Maddalena”). 


Veniamo alla figura di Dio: se da bambini ci spaventava il Dio veterotestamentario, quello di Saramago è ancora più temibile! È capriccioso, è un sovrano dispotico che spesso distoglie lo sguardo dinanzi alla sofferenza e alle malefatte degli uomini. Vuole che il figlio Gesù si sacrifichi perché il suo potere si estenda al di là del solo popolo ebraico: aspira alla grandezza, alla sconfitta degli altri dei, al potere assoluto. È un generale che prepara una guerra di espansione, sfruttando la morte del figlio, consapevole che il  sangue che scorrerà non sarà solo quello di quest’ultimo. Sotto questo profilo, infatti, è splendido il dialogo di Dio con Gesù: Egli rivela a quest’ultimo  la parentela che intercorre tra loro e ciò che lo aspetta e, dinanzi alla domanda di Gesù (“Ma io voglio che mi  dica come vivranno gli uomini che verranno dopo di me […] se saranno più felici”) che vuole giustamente sapere se il suo sacrificio sarà valso a qualcosa, risponderà in un primo momento eludendo la domanda ( “non direi, ma avranno la speranza di una felicita lassu. nel cielo dove io vivo eternamente, e quindi la speranza di vivere per sempre con me. Nient altro, Ti pare poco”) e poi, di fronte alle insistenze dell’interlocutore, elencando in ordine alfabetico la sequela di martiri, di asceti che morirà nel nome di Cristo; descrivendo le Crociate e gli orrori dell’Inquisizione. 


Gesù non è propriamente convinto che “il gioco valga la candela”…(e come dargli torto!). 


Una notazione sul rapporto tra Bene e Male, che mi pare essenziale nel pensiero di Saramago: Dio e il Diavolo devono necessariamente coesistere. il Bene e il Male sono due facce della stessa medaglia. Dice Dio “il bene che io sono non esisterebbe senza il male che sei tu; un bene che dovesse esistere senza di te sarebbe talmente inconcepibile che neppure io riesco a immaginarlo” (sic!), quasi fosse essenziale la presenza di un nemico a giustificare il lato negativo delle cose del mondo. 


▪️Altre tre peculiarità che mi hanno colpito: 


- Giuda non tradisce: è Gesù a chiedere al discepolo di essere denunciato perché il disegno del padre si compia. Sul cadavere dell’Iscariota non saranno trovate monete (mi ha ricordato il romanzo di Amos Oz, “Giuda”);

- Il gesto della lavanda delle mani di Pilato viene privato del significato proverbiale che gli attribuiamo da secoli; 

- Sulla croce, poco prima di spirare, Gesù non invoca il perdono del Padre per gli uomini inconsapevoli delle conseguenze dell’omicidio che stanno perpetrano ma, al contrario, chiede agli uomini di perdonare Dio “perché non sa quello che ha fatto”. Mi permetto di dire che questa parte implica, invece, la necessità di un perdono verso Dio proprio perché Esso sa benissimo cosa determinerà questa morte. Infine, un’inezia: ho trovato bellissimo il fatto che l’Autore sottolinei più volte che il gesto di dare da bere aceto al condannato sulla croce non sia stato un modo per aumentare i suoi supplizi, ma l’unica possibilità di placare un po’ la sua sete (la mistura era invalsa tra i romani proprio per questa sua funzione). Un assoluzione dei più piccoli, mentre viene condannato il volto ambiguo e insondabile del Grande per eccellenza: Dio.










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