Circe, Marsilio editore. Recensione
Madeline Miller domina le classifiche da settimane con la sua “Canzone di Achille”, ma lasciatemi dire che - dopo averli letti entrambi - la fama dovrebbe esserle tributata soprattutto per questo libro: “Circe”.Non bisogna certo accostarsi alla lettura sperando in un manuale scientifico sul mito, si tratta di un romanzo, con tutte le variazioni, modifiche e riletture che la “licenza poetica” dell’Autrice consente. Ovviamente, le deviazioni rispetto alle versioni originali sono possibili e riescono solo se si ha una profonda conoscenza della materia che si maneggia. E Madeline Miller riesce a fornirci una visione nuova della figlia di Elios proprio perché, di fondo, ha un intimo contatto con i classici.
Non è semplicemente la storia della ninfa di Eea che trasformò i compagni di Odisseo in maiali, bensì il dipanarsi di un romanzo di formazione, che getta luce su tratti finora ignoti o ignorati: la sua infanzia, la sua evoluzione, il suo scoprirsi maga. Rifulge immediata la diversità rispetto agli altri membri divini della sua famiglia e, quindi, il fatto di essergli invisa.
Naturalmente è narrato anche l’incontro con Odisseo, ma nelle pagine che seguono la ripartenza dell’eroe da Eea, ci accorgiamo di come l’Autrice attinga a una tradizione - pure esistente - che distrugge l’immagine del re di Itaca, mettendone in luce i vizi più che le virtù.
Un’altra fase essenziale del romanzo è quella che ci raffigura Circe come madre, spietata nel proteggere il suo Telegono.
Splendidi e inediti i dialoghi con Penelope e Telemaco. In particolare, assistere alla conversazione tra due donne che hanno condiviso lo stesso uomo, da cui hanno avuto entrambe figli, è quanto di più “atipico” si possa immaginare, soprattutto se le due dialogano pacificamente, con l’intelligenza e l’arguzia che le connota, fino a diventare alleate.
Un altro elemento della Circe della Miller è la sua “umanità”, la sua vicinanza ai mortali, i suoi sentimenti a volte sin troppo terreni che si svelano nel suo infantile amore per il pescatore Glauco, nell’ingenua ospitalità riservata ai primi marinai che approdano sulla sua isola (vi assicuro che si preparerà molto meglio ai successivi sbarchi: “a quanto risultò, quella sera uccisi dei maiali”), nella passione per il caduco e il finito; nell’impegnarsi selvaggiamente in ogni attività come se la sua vita avesse scadenza e non fosse invece esente dalla morte. È fatalmente attratta dalla mortalità.
Ho già detto di come il racconto venga sapientemente condotto tra le insidie del “già visto”, “già raccontato” fino a illuminare il nuovo tocco con cui l’Autrice è in grado di arricchire storie millenarie (Pasifae e il Minotauro, Arianna e Teseo, Dedalo e Icaro, Medea e Giasone, Scilla...). Aggiungo che questo romanzo è poesia appassionata dalla prima all’ultima frase, pur essendo apparentemente vestito di prosa: l’uso degli aggettivi, le metafore, il ritmo incalzante, le immagini potenti che vi vengono evocate ne fanno un vero e proprio gioiello di epica.
Concludo con una riflessione fondata sulle parole che l’Autrice mette in bocca alla sua eroina e di cui ho già accennato in altre recensioni su libri simili, ovvero opere che rileggono le storie in chiave femminile, mettendo le donne al loro centro: “le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo o piangiamo”. Madeline Miller capovolge l’assunto e rivela il manifesto letterario dietro il suo libro, perché la sua Circe non striscia, non piange, non implora, non attende salvezze che arrivino da mano maschile. Si salva da sé, costruisce il suo destino, si difende con forza, vive la sua solitudine con perseverante pazienza. È forte. In un modo multiforme che non potrà mai appartenere agli “impostatissimi” eroi maschi dell’epos.
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