Misery, Sperling&Kupfer. Recensione
“Misery” è claustrofobico, angosciante, crudo, sanguinolento. Con la maestria che ne connota il tocco, la penna di King è in grado di generare orrore puro. Plastico. Tangibile.
La trama dovrebbe essere nota - e il merito va anche alla pellicola degli anni ‘90 , “Misery non deve morire”, impreziosita da una Kathy Bates premio Oscar, entrata di diritto nella lista dei migliori cattivi del cinema statunitense -, ma ve la riassumo qui in poche righe: lo scrittore Paul Sheldon, autore di una serie best seller dedicata a un’eroina vittoriana chiamata Misery, a seguito di un incidente d’auto, è fatto prigioniero dalla sua “fan numero uno”, l’ex infermiera Annie Wilkes. La sfegatata ammiratrice non perdona allo scrittore la morte di Misery e pretende che questi la resusciti, scrivendo un nuovo romanzo tutto per lei. Vi invito a scoprire da voi le tecniche di persuasione messe in atto nel confronti del povero Paul…
Alcuni punti chiave:
- Ossessione: nessuno come King sa descrivere i moti e le conseguenze della psicosi. In questo caso, abbiamo un’ammirazione/amore che diventa folle, distruttivo, aberrante. Il lettore percepisce, a ogni pagina, “odore psichico di ossessione”.
- Sevizie: le torture psicologiche e fisiche cui Paul Sheldon viene sottoposto, lo rendono una larva decerebrata, atta solo a redigere il manoscritto imposto dalla sua carceriera. È una lenta e logorante discesa all’inferno e, a ogni gradino, una fitta violenta colpisce la base della spina dorsale di chi legge. Qualunque sensazione provi Paul, la sperimenta anche il lettore: i climax nascosti dietro descrizioni apparentemente amene costruiscono l’angoscia, la paura e l’attesa per poi esplodere, al momento giusto, nelle scene cruciali; il lento lavorío delle frasi scava dentro. Non si è più in poltrona a leggere. Ci si trova in quella maledetta stanza con Paul Sheldon. Si riesce quasi ad annusare il tanfo di sangue e paura. Ad ascoltare, con il cuore in gola, i passi che annunciano la prossima visita di Annie.
- Annie: questo personaggio è perfetto. Ho già detto di quanto sia straordinariamente delineata la sua psicosi, ma a questo si accompagna una descrizione fisica altrettanto adeguata. La visualizzi, l’hai davanti in carne e ossa. Ne senti persino l’odore, tanto è bravo King a renderne la presenza ingombrante sotto ogni profilo. È esattamente come Annie Wilkes deve essere. Non so dirlo altrimenti. È una sorta di precognizione.
- Il significato recondito: per detta dello stesso King, Annie Wilkes è la metafora della sua dipendenza. Il donnone imprigiona e opprime Paul Sheldon come l’alcol e le droghe hanno fatto con King. Allo stesso tempo, Annie - pur in modo malato - spinge Sheldon alla stesura del suo miglior libro, così come stupefacenti e alcol hanno alimentato il fuoco creativo di King.
La narrazione, quindi, nasconde anche un percorso metaletterario: l’iter creativo per giungere alla produzione di un’opera degna di questo nome è lastricato di sofferenze e arresti, qui portati iperbolicamente al parossismo.
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