Trilogia del Grishaverse, Mondadori editore. Recensione
La trilogia che Leigh Bardugo ambienta nel suo Grishaverse prende avvio con una trama apparentemente semplice nel primo libro, per trasformarsi poi in un intreccio più avvincente attraverso il secondo volume e…concludersi in modo (per me) deludente nel terzo e ultimo capitolo della saga.
Ognuno dei tre libri ha per titolo un binomio - Tenebre e Ossa, Assedio e tempesta, Rovina e Ascesa - che si staglia argenteo su copertine dai colori sgargianti: blu intenso, verde smeraldo e cremisi. Il lettore che sia anche un collezionista-esteta non potrà che comprendere quando questo incida sulla decisione di acquistare o meno dei libri (la carne è debole).
Ma veniamo ai contenuti: in ognuno dei tre libri incipit ed epilogo sono narrati da un autore onnisciente, tuttavia il cuore della storia è interamente negli occhi della protagonista, Alina. La nostra è orfana, abbandonata a sé stessa e - neanche a dirlo - (solo) apparentemente insignificante: non è avvenente, non spicca per abilità particolari. Svolge il ruolo di mappatrice dell’Esercito reale, dove presta il proprio
servizio di “tracciatore” (una specie di segugio fiuta tutto, direi) così come il suo migliore amico, Mal. Pure lui è orfano, sebbene con caratteristiche - fisiche e reputazionali - che lo rendono più “popolare” dell’amica nel contesto di appartenenza.
I due sono l’uno il mondo dell’altra - sebbene in un primo momento pare che il rapporto sia sbilanciato verso Alina - e questo costituirà croce e delizia del povero lettore per tutto il percorso: vi lascio la gioia e il tormento della scoperta.
Il punto focale della vicenda, però, risiede nell’esistenza di un altro esercito: i Grisha, persone privilegiate dal dono della magia, suddivisi in categorie in base al potere che riescono a esercitare sulla materia: evocatempeste, fabbricatori, spaccacuori, guaritori, inferni, scuotiacque. Selezionati sin da bambini e addestrati nelle arti magiche, hanno un certo senso di superiorità rispetto ai semplici esseri umani.
Anche Alina e Mal sono stati analizzati da piccoli, ma non hanno rivelato alcun potere. Tuttavia - e il lettore se lo aspetta proprio per via dell’iniziale irrilevanza della protagonista cui alludevo prima - un evento pericoloso rivelerà la straordinarietà e l’unicità di Alina: è un’Evocaluce. È in grado di chiamare la luce a sé, di controllarla. E questa è l’unica arma che può liberare Ravka dal Nonmare, una faglia oscura popolata da mostri - I Volca - creata tanti anni prima dall’Eretico Nero.
Da qui in poi, il destino di Alina si incrocerà e intreccerà con quello dell’Oscuro, il capo dei Grisha: uomo e leggenda, longevo e dotato di poteri straordinari, cupo, misterioso, altero, bellissimo (qualora ve ne dimenticaste nel corso della lettura, l’Autrice sottolinea più volte questa caratteristica: anche quando è stanco ed emaciato, “è ancora più affascinante”…).
Il rapporto tra Alina e l’Oscuro - insieme a quello tra Alina e Mal - è un altro dei cardini dell’intera opera: attrazione tra simili o rapporto meramente utilitaristico? I due perseguono realmente i medesimi fini? L’Oscuro è mosso dalla volontà di salvare il suo popolo o da un’ambizione smisurata che lo consuma? È spietato nel perseguimento dei suoi scopi, ma è anche malvagio? O è necessario comprenderlo, ponendosi dal suo punto di vista?
Con riferimento al secondo libro, si aggiungono nuovi personaggi (tra tutti, spicca un
Corsaro con inaspettate evoluzioni…) e, quindi, altri intrecci, resi più complessi dalla rottura (non vi dirò di che tipo) che ha chiuso il primo capitolo della saga.
Il terzo libro, infine, contiene il viaggio per il ritrovamento di un elemento risolutivo ai fini della trama. La parte più bella del libro è proprio quella che descrive le peregrinazioni, il vivere per strada dei personaggi, l’avventura della ricerca.
E il finale? Deludente a mio parere: alcuni aspetti erano facilmente prevedibili e, forse, auspicabili. Per altri, invece, difficile non storcere il naso, perché ho percepito il tutto come una perdita di opportunità, uno spreco, una rinuncia che forse era scritta già nelle prime righe del primo libro, ma che mi rifiutavo di accettare si sarebbe realizzata.
È stato un climax ascendente solo fino a un certo punto. Mi sono appassionato salendo le vette, ma la caduta è stata altrettanto rovinosa!
Nel complesso, la trilogia rientra nella categoria “young adult”. Leggera, scorrevole, con qualche “furberia” qua e là: l’Oscuro - a dispetto del nomen agens che porta - attrae Alina sotto tutti i profili (eh sì, anche fisico). Fanno la loro parte i suoi sorrisi appena accennati, centellinati, destinati alla sola che non doveva contare nulla per tutto il libro. Un cliché già visto? Potrebbe dare questa impressione, ma andando avanti nella lettura il gioco diventa più complesso. Lo svolgimento dei fatti meno lineare. I personaggi più approfonditi. La storia più entusiasmante.
Inutile dirlo, i topoi letterari ci sono ed è inevitabile nel momento in cui un libro si incasella in un dato genere letterario: il protagonista privo di qualità che cerca il suo posto nel mondo, senza sapere di essere più forte di quanto crede; la crescita; il legame di attrazione e repulsione che lo stringe al nemico, in un miscuglio di desiderio e paura di essere simili. La volontà e la scelta di essere dalla parte del bene, nonostante l’immensità del proprio potere. Che poi il problema è sempre lo stesso: chi stabilisce cosa sia il Bene e cosa sia il Male?
Il finale, visto com’è strutturato, lascia pensare che nessuno è immune alla corruzione del potere e che l’Amore è solo per chi scende a compromessi che - nella maggior parte dei casi - comportano il sacrificio di una parte di sé.
Ho faticato ad accettare alcuni elementi ma ne ho apprezzato altri : la magia “buona”, ammessa e riconosciuta, è quella che si limita a trasformare la materia esistente; mentre il potere che non si ferma alla trasformazione ma pretende la creazione è la parte malata, da non praticare.
La cupidigia umana è infinita e non è possibile, quindi, un potere illimitato. Per questo, chi pretende di esercitarlo, subisce conseguenze difficilmente sopportabili.
Interessante anche il “miscuglio” con la religione: I Grisha sono santi? Martiri? Nelle diverse città citate nell’opera sono trattati diversamente: usati a servizio del re, arsi sul rogo o fatti a pezzi perché i loro organi siano venduti quali filtri dalle proprietà miracolose. Molto intrigante anche l’ambientazione “russa” che traspare dalle descrizioni ambientali, dai nomi e da alcune specificità linguistiche utilizzate.
Nel complesso, quindi, la trilogia mi è piaciuta, promossa perché godibile, ma non a pieni voti a causa di qualche pecca e un finale che, personalmente, ha deluso parecchio, forse troppo.
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